Papà Husserl e la figlia, detta Fenomenologia

Tratto dal blog “L’Occhio Del Bue” (LINK)

Vorrei parlare di Husserl, il padre della Fenomenologia. Non dell’uso della parola, ma della sua concezione filosofica. Infatti già Hegel aveva scritto “La fenomenologia dello spirito” e ne avevano trattato sia Kant sia Lambert nel settecento. Non parlo delle fenomenologia come semplice manifestazione di fenomeni. Kant li vedeva come altro dai noumeni, che erano le cose nella loro essenza, dunque come categorie di serie B, una sorta di politici italiani di oggi, che devono cedere lo scettro ai tecnici, Husserl li concepisce come contrapposizione alla conoscenza scientifica, che si limita a fotografare le cose come sono in un dato momento, dunque come ci appaiono. E per questo, a giudizio di Husserl, la conoscenza scientifica è addirittura ingenua. Bisogna partire del presupposto della crisi del positivismo, delle certezze e delle fiducie scientifiche e dell’involuzione della scienza che stava rivelandosi, priva com’era di controllo e di orientamenti etici, non già una nuova e preziosa compagna dello sviluppo umano, ma una tremenda condanna alla schiavitù e alla guerra. Che debba esistere una filosofia umana e non solo scientifica non è quindi un’esigenza solo intellettualistica e meramente speculativa. Si trattava già allora di stabilire un nuovo rapporto tra etica e scienza. O tra coscienza e scienza, come dal suo professor Brentano prese lo spunto di affermare Husserl. E questo rapporto non poteva essere semplicemente governato dalla scienza. Così nacque l’idea della superiorità della conoscenza filosofica su quella scientifica. Husserl era nato nell’impero austroungarico nel 1859 e aveva la stessa età di Bergson. Magari i due, nella guerra franco-prussiana del 1870, ancora bambini, avranno tifato per opposti fronti. Anche perché Husserl, che aveva tre nomi come tutte le persone rispettabili allora (Edmund, Gustav e Albrech), vorrà proprio diventare prussiano prima di iniziare le sue lezioni a Gottinga sulla fenomenologia. Era stato impressionato durante gli studi universitari dalle lezioni di Franz Brentano e in particolare dalla sua idea del rapporto stretto tra psicologia e filosofia e così, dopo essersi dedicato a lungo allo studio della matematica e della fisica, optò per la filosofia. Si era intestardito a cercar di capire il concetto di numero (aveva tempo da perdere?) e forse si sentiva un epigono di Pitagora. Poi si diede alla logica e alla teoria della conoscenza, partendo proprio da Brentano. Il suo amato prof gli aveva insegnato che quando c’è un soggetto e un oggetto c’è un atto intenzionale di conoscenza del soggetto. Se io guardo desidero guardare, se io amo desidero amare. O quanto meno compio un atto che va nella direzione dell’oggetto (teoria dell’intenzionalità). Husserl la mette giù così. Lasciamo perdere la conoscenza scientifica che crede che la realtà sia quella definita e immutabile. Prendiamo invece la conoscenza filosofica e se vogliamo conoscere sospendiamo il giudizio (epochè) di tutto quel che pensiamo di conoscere. Un atto micidiale. Un azzeramento, una tabula rasa, come quella che presupponeva la morte di Dio di Nietzsche. Questa è la morte della conoscenza, che rischia di portarci allo scetticismo o all’ultimo Hume. Ma Husserl dice: mettiamo tra parentesi. Non dice: gettiamo a mare. Sospendiamo il giudizio, dunque, poi eventualmente ne riparleremo. Ma dedichiamoci intanto ad altro. Ripartiamo da capo. E’ un metodo che farà strada nel Novecento anche nell’estetica. E chiediamoci. Cosa esiste? O meglio: cosa sono sicuro che esista? Per Hegel esiste solo lo spirito, per Marx esiste solo la realtà oggettiva, la struttura da cui tutto dipende, per Schopenhauer e Kierkegaard esiste solo l’uomo con il suo pessimismo che deve sconfinare nell’ascesi per l’uno e con le sue angosce per l’altro, per Nietzsche esiste l’uomo con la sua volontà di potenza, per Cartesio esiste solo il “cogito”. E la certezza è che lo manifesto, che lo penso. Dunque esisto perché penso. Per Husserl, che si rifà proprio a Cartesio e di lì parte, esiste anche il contenuto del dubitare, del pensare, che presuppone l’oggetto dubitato e pensato. Spieghiamola così. Se io guardo una casa la vedo (rappresentazione diretta), se io penso alla casa, come mi viene raccontata o come la ricordo dopo averla vista, la rappresento nella mia mente (conoscenza indiretta). Ma io non sono certo in assoluto dell’esistenza della casa. Io sono certo solo di vederla o di pensarla e il contenuto è proprio quello. Se c’è un pensare c’è un oggetto pensato, se c’è un guardare c’è un oggetto guardato. Da qui alla teoria neoplatonica delle idee come dato della realtà, e anzi come realtà suprema, ci corre il filo della polenta. E infatti Husserl fu anche tacciato di neoplatonismo. Parla di figure di pensiero sulle quali devo riflettere e queste riflessioni sono la base della conoscenza fenomenologica. E si passa dunque alla conoscenza trascendentale. Qui si entra nel merito della funzione della conoscenza critica e delle psiche umana e infatti Husserl influenzerà l’evoluzione della psicologia, della cultura e della filosofia del Novecento. Spieghiamola così. Se io vedo una bella donna giovane e avvenente sono sicuro di averla vista e la sua rappresentazione (o riflessione su essa, che lessicalmente sembra proprio adeguata), che mi turberà anche in futuro, è l’oggetto della mia conoscenza. Poi magari l’incontro per davvero e ne ricavo un’altra impressione anche perché la trovo invecchiata, non truccata, appesantita, che s’inceppa mentre parla e con un profumo sgradevole. E allora in realtà io percepisco due donne e non la stessa. Ci sono due contenuti e due percezioni. E quello che percepisco è la mia conoscenza fenomenologica e trascendentale e non scientifica. La donna forse è una, ma le donne della mia conoscenza sono due. In fondo la filosofia di Husserl era in netto contrasto con le teorie del pensiero unico, dunque della dittatura nazista che egli visse in Germania negli anni Trenta (il filosofo morirà nel 1938 a Friburgo) e il suo abbandono dell’insegnamento dovuto alle leggi hitleriane sugli ebrei (Husserl era ebreo) era anche il riconoscimento di una netta contrapposizione tra la sua elaborazione filosofica affidata alle riflessioni (o cogitationes) e la teoria della dittatura. Se il contenuto del mio atto di coscienza è oggetto di riflessione, ognuno avrà da fare la sua riflessione. Ogni uomo che elabora riflessioni ha la sua libertà di riflettere. Non è che Husserl scriva sulla natura della riflessione, perché elabora un sistema e un metodo. Che poi Hitler (che era certamente uno solo e meno male) non fosse solo una riflessione, ma esistesse davvero nella sua tragica realtà, poteva provarlo anche sulla sua pelle. Se lo sarà chiesto dopo le prime persecuzioni contro gli ebrei? O avrà sospeso il giudizio?


(Pubblicato originariamente il 22 Febbraio 2012)

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