Chi è nato nel 1980 andrà in pensione a 75 anni…se ci arriva…

Tratto da Yahoo! Finanza

L’assegno pensionistico è passato dall’essere un momento di meritato riposo a una scommessa. Scommessa che dipende da tanti fattori.

La corsa ad ostacoli per la pensione
Prima di tutto, il primo gradino e cioè quello di avere un lavoro il cui stipendio sia tale da permettere una vita dignitosa e, contemporaneamente anche la possibilità di versare contributi tali da avere, un domani, un tipo di ritorno che ci permetta di mantenere per lo meno la suddetta dignità. Una volta risolto questo (cosa difficilissima visto il tasso di disoccupazione che tra i giovani arriva al 40%), bisogna cercare di capirne il meccanismo per calcolarla, tra le varie riforme e i vari allarmi sulla tenuta dei conti. Rimane ancora una scommessa anche vedere se si riesce ad arrivare all’età giusta per goderne i frutti. Ammesso e non concesso che questi ci siano. Sì, perchè al centro di tutto c’è sostanzialmente la più grande delle incognite: l’assegno stesso e il suo peso. In altre parole, superato l’ostacolo per riuscire a rientrare nella categoria di appartenenza, superato l’ostacolo (magari con l’aiuto della sorte e di Madre Natura) di un’aspettativa di vita che si allunga (buon per noi ma non per l’INPS), superato l’ostacolo di sapere che questo benedetto assegno ci sarà (e non è affatto detto che ci sia), resta capire di quanto sarà.

L’incognita disoccupazione
Come se tutto questo non bastasse, arriva un’ulteriore ostacolo contro il quale, nonostante tutta la buona volontà di questo mondo, non si può fare nulla per evitarlo: la disoccupazione. A causa, infatti, del vuoto contributivo ad essa dovuto, si presenta nelle casse, un buco pari a circa due anni per i lavoratori che hanno oggi 36 anni, ovvero quelli nati nel 1980.
A lanciare l’ennesimo allarme è il presidente dell’Inps, Tito Boeri che sottolinea come per i nati dopo il 1980,la presenza di questa falla sulle entrate INPS, rischi di stirare ulteriormente i limiti d’età, costringendo la classe degli oggi 36enni ad andare in pensione a 75 anni.Alla base di questa sentenza agghiacciante, c’è proprio il problema della discontinuità contributiva dovuta a periodici momenti di disoccupazione: la flessibilità lavorativa, vista l’estinzione ufficiale del “posto fisso” ormai da anni porta con sè anche dei periodi di disoccupazione, in media calcolata per circa due anni, nella carriera contributiva del lavoratore. Risultato: l’iter dei versamenti si trova ad essere troppo leggero per maturare i requisiti per permettere la riscossione dell’assegno con il conseguente slittamento dell’età pensionabile a 75 anni. L’importo dell’assegno mensile sarà comunque un punto interrogativo per la stragrande maggioranza.

Print Friendly, PDF & Email

Rispondi